Oggi a Bari si parla di lavoro “che cambia”, di “transizioni” e di altre questioni che in teoria dovrebbero dare senso a questa fase di trasformazione. È ormai chiaro che tutti noi, compresi i resistenti più ostinati, viviamo oggi nella digitalizzazione, anche quando non la usiamo, e siamo parte attiva della transizione. Il lavoro che cambia quindi è uno degli aspetti di un più generale cambiamento del modo di vivere e di pensare delle persone e delle comunità.
Per capire come cambia il lavoro credo sia utile partire da come è cambiato il nostro modo di attribuire valore e senso alle cose in un contesto che é già cambiato
Sullo sfondo del dibattito di oggi c’è il tema della grande rassegnazione, due milioni di lavoratori che si sono dimessi, che è l’evidenza di un modo di pensare al lavoro del tutto diverso rispetto al secolo scorso.


P.S. Facendo un passo di lato e rispetto al tema delle dimissioni, la capacità di predire, calcolare e misurare quello che la gente fa con una precisione inquietante è sempre maggiore non rende inutile il tentativo di capire il senso dei comportamenti umani. Anzi: i numeri non parlano da soli, e la tecnologia, o la straordinaria disponibilità di informazioni di cui disponiamo non è in grado da sola di dare senso al cambiamento….
Servono ancora la sociologia la psicologia l’antropologia la filosofia etc. etc., e serve ancor di più che queste conoscenze vengano messe assieme e dialoghino tra loro. Del resto l’Università dovrebbe servire a questo.

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