“Una mentecatta neonazista nell’animo”. Queste le parole con cui l’antichista Luciano Canfora ha definito 2 anni fa all’allora deputata, oggi Presidente del Consiglio dei Ministri, Giorgia Meloni durante un convegno sulla guerra in Ucraina. Non proprio parole di miele dal professore dell’Università di Bari, noto per le sue posizioni politiche decisamente orientate a sinistra, nei confronti della leader di Fratelli d’Italia che ha prontamente deciso di denunciare il professore per diffamazione aggravata. Questa settimana lo storico è stato rinviato a giudizio, confermando il fatto che in Italia, come in larga parte del resto del mondo, non è possibile dire proprio tutto quello che si vuole.

La libertà di espressione è comunque alla base della società contemporanea: è in effetti citata esplicitamente nella dichiarazione dei diritti dell’uomo, nel primo emendamento della costituzione statunitense, ancora la potenza leader a livello globale, e in generale in pressoché tutte le costituzioni di Stati democratici e avanzati. L’Italia non è da meno, con l’art. 21 della costituzione che disciplina la materia aprendo ad una completa libertà di espressione, fatta eccezione per i reati ad essa connessi. La diffamazione è in effetti tra questi. Ma non è semplice stabilire arbitrariamente un limite alla libertà di manifestazione del pensiero e di parola, il caso in questione è un buon esempio di ciò. La tesi di Canfora infatti è che la sua affermazione non possa essere considerata ingiuriosa perché aderente alla realtà, la Meloni è neonazista perché persegue politiche che “dividerebbero il genere umano in base alle etnie” e perché il partito di cui fa parte “discende direttamente dal Partito Nazionale Fascista”. Il giudice in ogni caso ha rigettato questa tesi: le affermazioni sono parse sproporzionate rispetto alla realtà dei fatti ed essere contrari all’accoglienza di immigrati entrati illegalmente nel Paese non si può considerare una posizione strettamente neonazista (quanti italiani ed europei in questo caso sarebbero effettivamente da considerare neonazisti?). Un ulteriore problema per il professore deriva poi dal fatto che le sue parole siano state pronunciate in assenza del bersaglio delle critiche (e alla presenza di più di 2 testimoni), non lasciando quindi all’altra la possibilità di difendersi.
Ma quando finisce lo spazio della critica, giustamente legittimata e tutelata dalle nostre leggi, ed inizia quello della diffamazione? La risposta non è semplice e risiede nel principio della continenza. Perché una critica sia tale e non si cada nel reato di diffamazione è infatti essenziale che essa sia giustificabile nell’ambito di un contesto critico e funzionale all’argomentazione, un limite non semplice da stabilire, tanto che in alcuni casi, tra cui questo, per sbrogliare la matassa c’è bisogno di un giudice.
Esistono poi alcuni altri contesti in cui non è garantita la possibilità di esprimersi in piena libertà, si pensi ai segreti di Stato o ai limiti imposti dal buon costume, ma decisamente più complessa è la tematica legata ai discorsi d’odio. Non è semplice infatti stabilire sino a che punto sia possibile accettare che vengano espressi pensieri che incitano al danneggiamento di altri individui, in genere facenti parte di minoranze. La risposta è stata diversa nei vari Stati che si sono occupati del problema: in Italia la legge Mancino è uno strumento valido per perseguire chiunque inciti alla violenza (o abbia compiuto violenza) per motivi etnici, razziali, nazionali o religiosi, ma esclude altri tipi di discriminazione che erano meno sentiti al tempo dell’emanazione di detta legge, come quelle rivolte verso l’orientamento sessuale o la disabilità. Negli USA invece le maglie per esprimere posizioni anche decisamente estreme sono ben più larghe e sarà molto difficile condannare qualcuno per istigazione all’odio in assenza di un comprovato e diretto collegamento tra la vittima di un crimine violento e la persona rea di aver diffuso idee che la discriminassero.

La questione è ovviamente particolarmente controversa: la libertà di espressione infatti dovrebbe tutelare prima di tutto chi pensa diversamente da noi, ma fino a che punto sia possibile tollerare discorsi che minaccino la libertà stessa è una sorta di paradosso di difficile risoluzione. Che la libertà di parola possa diventare, in assenza di ogni tipo di censura, il principale nemico di se stessa, mentre la censura, notoriamente agli antipodi della libertà di parola, finisca per diventarne la salvatrice?