Viviamo in tempi complessi. Con l’avvento della globalizzazione l’economia mondiale è diventata sempre più interconnessa, tra scambi commerciali e transazioni finanziarie di vario genere, ma una maggiore interconnessione non è uno strumento necessariamente utile a risolvere le diseguaglianze, anzi, secondo alcuni studiosi, tende ad amplificarle.
Non è un caso che negli ultimi decenni, in particolar modo negli Stati più ricchi, stiamo assistendo ad un allargamento sempre più pericoloso della forbice sociale che mette sempre più a rischio la coesione interna stessa dei diversi Paesi che stanno affrontando questo fenomeno. Nonostante infatti le economie gli Stati occidentali continuino perlopiù a crescere, seppur in maniera fisiologicamente minore rispetto a qualche decennio addietro, questa crescita del PIL è decisamente trainata dai cosiddetti “mega-ricchi” che vedono accrescersi sempre di più i loro capitali semplicemente reinvestendoli, mentre gli strati sociali più bassi stentano a tenere il passo con l’inflazione. È proprio vero che ci voglio soldi per fare soldi.

Ad accrescere disuguaglianze sempre più profonde è anche l’incredibile progressione tecnologica degli ultimi anni. Internet ha cambiato il mondo e tutt’ora la rivoluzione digitale è ben lontana dal concludersi, alimentata dalle emergenti intelligenze artificiali. Notoriamente tutti i periodi storici che sono stati contraddistinti da grandi evoluzioni tecnologiche hanno visto una tendenza spiccata verso l’accentramento della ricchezza nelle mani di pochi, nonostante un esplosione delle risorse in generale. Prendiamo come esempio la nascita della scrittura. L’evoluzione di un sistema di simboli fu in origine pensato, perlomeno secondo quanto suggeriscono le evidenze archeologiche, per rendere più efficiente la produzione agricola. Già oltre 6000 anni orsono in Mesopotamia si tenevano in conto i turni di lavoro, le razioni che spettavano ai lavoratori, i costi degli arnesi e tutte le altre operazioni rendicontabili. Ovviamente in una società priva di un sistema di educazione pubblico, e priva peraltro di pressoché ogni tipo di servizio di welfare, essere tra coloro che erano in grado di leggere e scrivere rappresentava un vantaggio competitivo immenso, tanto da creare una vera e propria casta di sacerdoti-scribi, elemento comune a tutto il Vicino Oriente Antico e all’Antico Egitto, che di fatto controllava le ricchezze dell’intero Paese, redistribuendole poi secondo i volere di un monarca con larghissimi poteri. La società è disegnata secondo uno schema piramidale: al vertice vi è il sovrano che, potendo contare su un lignaggio che viene fatto risalire direttamente agli dei, è in teoria l’unico proprietario delle terre; vi sono poi i sacerdoti che amministrano sia il culto degli dei, dai cui capricci dipendono i raccolti e quindi la vita di migliaia di persone, che molte delle terre coltivabili; quindi vi è la categoria dei nobili, da cui provengono peraltro i sacerdoti stessi e i generali, che dispongono a loro volta di terre e notevoli risorse economiche; alla base della piramide vi sono artigiani di vario tipo, che in base alla qualità e alla rarità delle loro competenze potevano raggiungere un modesto grado di agiatezza, e i contadini, lo strato sociale nettamente più umile. Per concludere ci sono poi gli schiavi, spesso prigionieri di guerra, che sono alla completa mercé dei loro padroni. Inutile dire che, nonostante compongano oltre il 95% della popolazione, i contadini, gli artigiani e gli schiavi possiedono una minuscola parte della ricchezza, riservata ai proprietari terrieri. La situazione non è diversa agli esordi della rivoluzione industriale. I grandi proprietari di fabbriche e terreni, divisi tra borghesia e nobiltà, detengono pressoché tutte le ricchezze, a scapito di masse di sottoproletariato urbano che si accalcano nelle città alla ricerca di maggior fortuna.

In una situazione di tensione sociale palpabile riemerge il dilemma che da secoli dilania l’Occidente: se non sono conciliabili tra loro, è preferibile la libertà o l’uguaglianza? La risposta sembrava chiaramente emersa dopo le vicende della Guerra Fredda, che ha visto i due fronti sfidarsi fino al collasso dell’URSS, chiaramente il campione dell’uguaglianza, con il trionfo degli USA, i rappresentanti della libertà. Ma neppure questo scontro ideologico tra due modelli contrapposti ha potuto concludere una volta per tutte questa disputa. Le istanze per una maggiore redistribuzione delle ricchezze tra i cittadini ed un più equo accesso alle opportunità e alle competenze necessarie a fare fortuna continuano ad essere pressanti, pur rimanendo spesso inascoltate. Un’ulteriore minaccia alle classi meno abbienti arriva poi da un lavoro sempre più automatizzato e che rischia quindi di non essere sufficiente per tutti. Un problema enorme se si considera che ad oggi il lavoro, seppur in crisi, è il principale mezzo di redistribuzione e riscatto sociale. Rischiamo di ritrovarci in una società sempre più stagnante dove più che le idee e l’impegno contano i soli capitali a disposizione per realizzare una qualsiasi attività. Al contempo al momento, aldilà della tassazione, non esistono strumenti efficaci e per permettere una più equa circolazione delle ricchezze all’interno del sistema, né ulteriori soluzioni, se non un ritorno ad un ruolo maggiore dello Stato, con tutti i problemi di efficienza che questo comporta, sono in vista. La socialdemocrazia e in generale lo Stato contemporaneo europeo, dotato di un mercato libero e allo stesso tempo di un welfare che dovrebbe assicurare condizioni di vita decorose a tutti, hanno cercato per quanto possibile di trovare un anello di congiunzione tra i due ideali che da sempre promettono di rendere gli uomini felici, ma si trovano ora, pur in un benessere senza precedenti, a fronteggiare una crisi sistemica e demografica a dir poco preoccupante.

Quindi dovremmo sperare di essere liberi o uguali? Nessuno dei due concetti è sufficiente per l’uomo: l’obiettivo è sempre quello di essere felici. Ma se c’è qualcosa di più complesso e difficile da raggiungere della libertà e dell’uguaglianza quello è la felicità, una chimera che gli uomini inseguono da sempre, ma per ogni passo verso di essa, proprio come l’orizzonte, ecco che questa si sposta un passo più in là. Per parafrasare lo scrittore uruguagio Galeano, forse questo miraggio di felicità è quello che ci serve per camminare, di più non si può chiedere.