“I medici mettono delle droghe che non conoscono in un corpo che conoscono anche meno.”, questa era da dura opinione di un intellettuale come Voltaire circa 300 anni orsono. In effetti la medicina ai tempi di Voltaire era ancora basata su discutibili teorie aristoteliche e spesso i rimedi finivano per essere peggio del malanno (si pensi alla pessima abitudine di eseguire salassi con le sanguisughe come panacea di tutti i mali); per fortuna oggi la medicina ha fatto passi da gigante rispetto ad allora  e affidarsi ad un medico non è più un atto fede: i componenti delle medicine che assumiamo sono selezionati con meticolosa attenzione e dopo numerose sperimentazioni.
Resta però un problema di fondo: la sperimentazione di questi farmaci molto spesso non tiene conto della diversità dei soggetti che potrebbero farne uso e oltre l’80% del campione attraverso il quale se ne misura non solo l’efficacia, ma anche l’effettiva sicurezza, è rappresentato da uomini. Sembra, insomma, che l’antico detto attribuito al filosofo greco Protagora “l’uomo è misura di tutte le cose” sia ancora particolarmente valido in questo caso, anche se a differenza di quanto intendeva il pensatore, in questo caso l’uomo è inteso come individuo di sesso maschile più che come essere umano in generale.
Il problema potrebbe essere a monte, considerando che tutt’ora i manuali di medicina utilizzano come base per le diverse esemplificazione il corpo di un maschio adulto di circa 70 kg: la società è, a due decenni dall’ingresso nel XXI secolo, ancora fortemente centrata sugli uomini, nonostante i grandi sforzi e gli innegabili miglioramenti per portare le donne verso un’effettiva parità nei vari ambiti della vita. Per secoli d’altronde il corpo della donna, ritenuta inferiore nella maggior parte delle culture sopravvissute sino ad oggi, è stato considerato alla stregua di una variante di quello maschile, privandolo così della centralità che meriterebbe.

Un ulteriore problema è rappresentato dal fatto che spesso la questione delle sperimentazioni si riduce ad una mera questione di costi: un campione variegato è più difficile da trovare per le aziende farmaceutiche che, quando legalmente possibile, tendono ovviamente a risparmiare. E se la maggior parte dei famaci sono testati perlopiù su maschi adulti, non mancano casi opposti, come i farmaci per l’osteoporosi, una malattia tipicamente femminile, che vengono testati solo sulle donne, non tenendo in conto le esigenze dell’esigua minoranza maschile colpita da questa malattia.
Il problema è ovviamente molto serio perché il corpo umano maschile e femminile, pur simili tra di loro, presentano profonde diversità che non si traducono solo nel nostro aspetto esteriore, ma anche nei delicati equilibri ormonali che svolgono una funzione essenziale nella regolazione del nostro equilibrio fisiologico. L’unica soluzione per un futuro che tenga maggior conto delle esigenze e di tutti e tutte passa dalla regolamentazione, con uno Stato che dovrebbe indirizzare coloro che effettuano i test verso l’utilizzo di un campione più diversificato.