Da ormai oltre un decennio i social sono, in Italia come nel resto del mondo, una vera e propria ossessione per i più giovani. Ormai è molto raro trovare un bambino di 8 o 9 anni che non sia iscritto ad almeno un social, nonostante l’accesso a queste piattaforme sia legalmente limitato, quantomeno in linea teorica, ai 13 anni.
La continua esposizione delle menti dei giovanissimi a contenuti di questo genere però rischia di creare un meccanismo di forte dipendenza che sfocia anche nell’emulazione ad ogni costo di influencer che diventano sempre più giovani. Non è raro, in particolare su TikTok, che ragazzine con poco più di 14 anni diventino delle vere e proprie icone, con una community disposta a seguirle da decine, se non centinaia di migliaia di persone, spesso a loro volta giovani o molto giovani.

Questa situazione ha iniziato a destare una notevole preoccupazione tra l’opinione pubblica, e ora anche il mondo della politica ha iniziato a muoversi: è stata infatti presentata da poco una proposta di legge bipartisan dalle parlamentari Lavinia Mennuni (FdI) e Marianna Madia (Pd) per arginare il fenomeno. Il testo, ispirato a provvedimenti simili già adottati in Francia e negli Stati Uniti, non si propone di bloccare i social o altre operazioni censorie, ma semplicemente di innalzare a 15 anni l’età minima richiesta per l’accesso e fornire ai genitori, spesso in difficoltà con le nuove tecnologie, strumenti efficaci per migliorare il controllo della propria prole online. Per quanto riguarda la verifica dell’età, al momento poco controllata (solo TikTok tenta effettivamente di mantenere solo persone della giusta età sulla sua piattaforma), la delega dovrebbe toccare ad AgCom ed al Garante della Privacy. Un’altra misura chiave del testo prevede poi che i minori di 18 anni non possano più svolgere il ruolo di influencer, sponsorizzando i diversi prodotti che vengono loro offerti spesso gratuitamente una volta superato un certo numero di followers.

Sembra difficile pensare che qualcuno possa opporsi, vista l’ossessione dei giovani verso influencer e simili, ad un testo di legge di questo genere al momento. La domanda più interessante da porsi è piuttosto se potrà essere sufficiente. Come si suol dire “fatta la legge, trovato l’inganno”, e giovani sono molto abili a sfruttare le incertezze delle generazioni precedenti per quanto riguarda il mondo digitale: perché davvero qualcosa cambi sarà necessaria una presa di coscienza del problema ed un’assunzione di responsabilità non banale da parte delle famiglie, in modo che gli strumenti che lo Stato potrà mettere a disposizione non restino inutilizzati. Questa battaglia culturale è troppo importante da vincere per riportare ordine in un mondo dove ora, complice la relativa novità della situazione, vige poco più che la legge della giungla.