Quando parliamo di intelligenze artificiali il primo grande attore che ci viene in mente è per forza di cose ChatGPT, il chatbot più avanzato al momento disponibile sul mercato, ma un documento trapelato di Google sembra implicare che presto potrebbe esserci un cambio di scenario.
Da quanto traspare infatti, se ancora esiste un vantaggio tecnico delle Big-Tech su piattaforme che sfruttano questa nuova tecnologia, in particolare ChatGPT di Microsoft ma vale anche per Google e le varie altre, questo gap rispetto alle tecnologie Open Source non supera i 6 mesi di lavoro, non certo molto, e soprattutto rischia di assottigliarsi molto in fretta. Ad onor del vero presto la presentazione di ChatGPT4 potrebbe accrescere non poco il vantaggio competitivo di Microsoft, ma finché non verrà presentato sul mercato la situazione resterà questa.


Senza scendere nel dettaglio sulle ragioni precipue che hanno portato ad una fioritura tale di questo tipo di tecnologia in formato Open Source, basti citare il fatto che un individuo che abbia competenze poco superiori alla base di programmazione può serenamente impostare un AI personalizzata sul suo PC, è interessante interrogarsi piuttosto sulle conseguenze di tutto ciò.
Le aziende Big-Tech si trovano infatti costrette a dover competere con tecnologie che vengono messe gratuitamente a disposizione degli altri, una competizione scomoda che rende fondamentale per loro trovare un nuovo valore aggiunto rispetto alle versioni gratuite. Sempre che sia possibile per questi colossi competere con un modello Open Source che domina internet. Mantenere segreto un qualsiasi tipo di tecnologia informatica è infatti estremamente complesso: un qualsiasi dipendente che cambi lavoro può semplicemente portare le sue expertise e replicare ciò che faceva in una compagnia da un’altra parte, ed un mercato del lavoro flessibile come quello americano in un certo qual modo tende a premiare il “tradimento”. Paradossalmente chi guadagna di più da questa diffusione Open Source è Meta, che vede sfruttare il suo modello che è stato leakato e che viene usato come base di partenza per lo sviluppo volontario proprio perché all’occorrenza può essere più facile che per le altre compagnie assimilare sviluppi a cui ha lavorato gratuitamente qualcun altro all’interno della sua piattaforma. Un esempio di una simile operazione che ha portato invece vantaggio a Google in passato è rappresentato da Android e Chrome che hanno visto un utilizzo su larghissima scala proprio grazie alla libertà d’azione lasciata nello sviluppo di complementi terzi.


Ma questo cosa vuol dire? Semplicemente che possedere un ecosistema non può essere sopravvalutato dalle aziende e che più strettamente esso viene controllato più le alternative divengono appetibili. L’unico ecosistema tecnologico chiuso che riesce comunque ad avere un successo notevole è quello della Apple, ma si tratta di un leader del settore talmente solido e con una clientela talmente fidelizzabile che replicarlo con successo appare ai limiti del possibile.
Internet insomma è il regno dell’Open Source e l’introduzione di tecnologie che scannerizzano il web alla ricerca di contenuti da replicare non fa che rendere ancora più evidente come lo stesso concetto di copyright e del diritto d’autore dovrà essere ripensato per garantire un equilibrio tra le legittime richieste dei creatori e l’inevitabile diffusione online dei contenuti prodotti. La battaglia di Getty Image, colosso della fotografia che può far valere i suoi diritti solo in funzione della sua grandezza, contro le IA in grado di “creare” disegni è un esempio di come questo conflitto sia lontano da una risoluzione, anche se lottare contro questo tipo di tecnologia rischia per questi colossi di divenire una battaglia contro i mulini a vento. Ciò che è ancora più interessante notare è che per la prima volta le Big-Tech sembrano trovarsi in difficoltà davanti alla sfida che le IA hanno imposto loro per mantenersi in cima alla “catena alimentare”. Si tratta di un isolato incidente di percorso dovuto alla mancanza di coraggio di lasciare i propri algoritmi “aperti” o stiamo assistendo ad un nuovo trend che cambierà radicalmente il futuro di internet? Possibile che il web del futuro sia più decentralizzato? Chi vivrà vedrà.