La tassa chiamata Payback, imposta da Renzi e resa effettiva sotto il Governo Draghi, rischia di far crollare il settore della produzione di dispositivi sanitari. La salute dei cittadini in questo modo viene messa a rischio.

Era l’ormai lontano 2015 quando Renzi impose, per venire incontro al grave indebitamento delle strutture sanitarie su tutto il territorio, la tassa cosiddetta Payback per tutte le aziende che producono dispositivi medici. Ora che è finalmente entrata in azione però sembra assolutamente sproporzionata e rischia di mettere in ginocchio l’intero settore, oltre che ad isolarci rispetto alle indispensabili forniture estere.

Ma i rischi di queste aziende sono rischi che ci riguardano da vicino: come potrebbe un ospedale funzionare in modo anche solo decoroso senza i complessi ed inevitabilmente costosi dispositivi in uso ai medici?
Tutto questo senza calcolare le quasi 5000 imprese ed il mezzo milione di lavoratori in questo campo a forte rischio.
Eppure la situazione sembra giunta ad un punto difficilmente sanabile, con le Regioni, sempre in grave crisi di liquidità, che richiedono, anche giustamente, il contributo che gli spetta per evitare il collasso e rimettere in pari il bilancio dopo i difficili anni della pandemia. Eugenio Giani, presidente della Regione Toscana, ha assicurato che tirerà dritto, ad esempio, anche se si dovessero aprire dei contenziosi.
Così ha parlato della situazione generale e del suo Calderaro Medical Service di Firenze, che si occupa di diagnostica e chirurgia oculistica, Stefano Calderaro:

“Come tanti miei colleghi riforniamo gli ospedali con gare ufficiali: ad esempio se il primario ha bisogno di un laser da 120mila euro (per fare un esempio) fanno una ricerca di mercato e indicono la gara. Siccome le aziende sanitarie hanno sforato il budget annuale, a Renzi è venuta l’idea – per il 2015 e fino al 2018 – di chiedere un rimborso dalle aziende che hanno fornito i materiali. Un’idea che è stata messa in pratica, divenendo effettiva, solo dalla fine luglio di quest’anno col governo Draghi e il ministro Speranza. Una legge che peraltro è retroattiva, dunque anche anticostituzionale. In pratica, di questi anni, – 2015, 2016, 2017 e 2018 – di tutto il mio fatturato (non il guadagno, attenzione, ma il fatturato), dovrei restituire il 20%, ossia 500mila euro. Ma io non ho neanche lontanamente guadagnato il 20%, in più ci ho pagato anche le tasse. Dovessi chiudere, io manderei a casa tre dipendenti, ma ci sono altri colleghi che manderebbero a casa molti più dipendenti di me, chiamati a pagare milioni di euro.
A gennaio ci arriverà l’ingiunzione di pagamento: se non riusciamo a pagare, hanno già detto che prenderanno i soldi da quello che ci devono. Lo Stato è con questi soldi, di noi fornitori di Asl e ospedali, che ha messo in pari il bilancio: i due miliardi da pagare li prendono da lì, da questa tassa. Ma noi rischiamo il tracollo. Ci sono multinazionali che hanno paventato l’idea di non rifornire più l’Italia. Sa cosa vuol dire questo? Se ci fanno bloccare tutto, se ad esempio un paziente ha bisogno di una valvola cardiaca, se questa valvola non c’è, perché non viene rifornita, il paziente muore. Il rischio è che il paziente vada in ospedale ma qui non ci sia il materiale per curarlo. So bene che i veri eroi durante la pandemia sono stati gli infermieri e i medici. Ma quando tutti erano chiusi, anche noi, come altri colleghi, lavoravamo, e andavamo a portare la strumentazione in ospedale, a rischio della vita. E ora, con questa tassa assurda, oltre al danno, la beffa. Come sindacato abbiamo fatto ricorsi al Tar e ci siamo rivolti ai legali”.

Una situazione davvero drammatica dunque che richiederà probabilmente un intervento dell’esecutivo per evitare dei gravissimi danni a tutto il settore, un’eccellenza italiana che si trova a fare i conti con un vero e proprio uragano fiscale.