In Italia continua a tenere banco il problema dei salari. Pur essendosi ora assestata, l’ondata inflattiva del 2023, che si è riversata soprattutto su energia e altri beni di prima necessità, ha scosso ulteriormente il precario equilibrio economico della classe media italiana, sempre più in crisi. Per rendere un’idea della gravità del problema basti pensare che nei Paesi OCSE la crescita media dei salari nell’ultimo trentennio è stata di oltre il 30%, mentre in Italia raggiunge a stento l’1%. Se poi consideriamo che la moneta comune ci ancora necessariamente ad un’inflazione che si accresce proporzionalmente tra i vari Stati della zona Euro, ecco che non serve un economista per comprendere la gravità del problema.
Ovviamente la stagnazione dei salari è un fenomeno complesso che dipende da un’enorme quantità di fattori, ma certamente uno dei principali problemi è l’incapacità dell’Italia di accrescere la produttività della sua forza lavoro, che proprio come i salari, resta inchiodata da decenni, nonostante il vertiginoso sviluppo tecnologico. E sarebbe un errore credere che questa mancata crescita dipenda dallo scarso impegno degli individui che lavorano a salario fisso: difficilmente infatti un dipendente potrà accrescere la sua produttività senza che gli siano messi a disposizione degli strumenti più avanzati per farlo. Per fare un esempio, se due contadini hanno a disposizione uno un aratro trainato da buoi ed uno un trattore, per quanto impegno possa metterci il primo, il secondo avrà un vantaggio tecnologico talmente schiacciante che, pur lavorando anche meno della metà del primo, si troverà sempre ad avere un livello di produttività nettamente maggiore. Tenendo in conto questo esempio, potrebbe dunque venire da additare le maggiori responsabilità del declino agli imprenditori, coloro che sono tenuti a fornire ai loro dipendenti i mezzi per lavorare, ma, ancora una volta, l’argomento non si presta a simili semplificazioni. L’Italia è infatti un Paese che ha fatto le sue fortune nello scorso secolo grazie al suo tessuto industriale, il nord della Penisola è tra le aree più sviluppate del mondo da questo punto di vista, diventando uno Stato a forte vocazione manifatturiera. I tempi però cambiano e oggi la competizione internazionale con altri Stati emergenti, dove i lavoratori si accontentano (più o meno forzatamente) di “un tozzo di pane”, ha reso molto difficile mantenere un vantaggio all’interno di un mercato globale sempre più strettamente interconnesso. Allo stesso tempo, politiche poco lungimiranti per anni hanno contribuito ad accrescere il problema con scarsi investimenti sull’innovazione che, oltre a penalizzare la produttività, hanno avuto l’ulteriore effetto di incentivare una fuga di potenziali innovatori italiani, formati perlopiù a spese dello Stato, verso più attraenti lidi.

È evidente che non esiste una formula magica per aumentare la produttività dei dipendenti dall’oggi al domani, ma un aiuto in questo senso, quantomeno per alcuni, potrebbe arrivare dalle nuove tecnologie emergenti: le Intelligenze Artificiali. Le IA rappresentano in questo senso un’opportunità incredibile per aumentare la produttività, ma possono farlo solo in alcuni settori, quelli per altro che già si trovano più vicini ai livelli medi dei Paesi occidentali. Sicuramente infatti coloro che più beneficeranno di questi strumenti sono coloro che lavorano nel settore dei servizi, che rappresentano comunque una maggioranza all’interno del Belpaese. Ma le IA vanno ben oltre la possibilità di aiutarci a lavorare meglio, in alcuni casi infatti sono in grado di sostituire addirittura intere mansioni, e, col raffinarsi di queste tecnologie, le mansioni in questione saranno sempre di più. La produttività in quel caso aumenta a dismisura, ma al costo di un numero difficilmente prevedibile di posti di lavoro in meno. Peraltro si tratta di impieghi da ufficio perlopiù a basso grado di qualifica, andando ad accrescere sempre più il divario tra chi può permettersi un alto livello di istruzione e chi no. Un problema questo annoso che contribuirà a rendere ancora meno efficiente la redistribuzione della ricchezza generata dal lavoro. Una vera gatta da pelare dunque per i legislatori, che si trovano davanti ad una nuova tecnologia difficile da regolamentare e con impatti decisivi su pressoché ogni ambito della vita umana.