Dopo l’attentato di Bruxelles in tutta Europa l’allerta contro il terrorismo islamico è di nuovo ai massimi livelli. Eppure l’Unione Europea stenta a trovare soluzioni durature per il dossier immigrazione, uno dei più grandi pomi della discordia europei.

La guerra tra Israele e Hamas, sarebbe ingeneroso identificare il popolo palestinese tutto con questi fondamentalisti, ha riportato nel mondo una tensione religiosa tra il popolo della Umma e l’Occidente cristiano-secolarizzato come non si vedeva dai tempi della strage del Bataclan a Parigi. In Germania crescono a dismisura i consensi di AfD, partito ultraconservatore, ed in Italia appena un anno fa il centrodestra ha inflitto una sconfitta schiacciante ad un centrosinistra disunito e privo di idee. La Francia è stata costretta, vista la larga quantità di cittadini arabi ghettizzati presenti sul territorio, a bandire ogni manifestazione a sostegno della Palestina per evitare gravi disordini. In Europa persino una progressista moderata come Von Der Leyen invoca misure più dure per il rimpatrio dei migranti pericolosi. In compenso Tusk conquista con i progressisti la Polonia, da anni roccaforte della destra. La situazione è una vera e propria polveriera.

A farne le spese, come al solito, sono i bravi cittadini: gli occidentali che vivono meno sereni, gli immigrati che si sentono addossare responsabilità che non sono loro, o quantomeno non di tutti loro. Già, perché se pure è innegabile che in media gli immigrati commettano in percentuale più crimini dei comuni cittadini, una larghissima parte di loro cerca solo di potersi realizzare e vivere una vita più serena di quella che avrebbe avuto nella sua madrepatria.

Eppure c’è un problema di fondo che sembra essere sfuggito ai più. Le società multietniche non sono solide ed una società non solida è sempre a rischio di crollo e violenza incontrollata. L’organismo dello Stato, ancora fortemente attaccato al concetto di nazione, soffre profondamente cesure interne che minano l’unità culturale al suo interno e per quanto le minoranze senz’altro contribuiscano ad arricchire la cultura dello stato che le ospita, certamente il troppo stroppia. L’unica nazione che al momento sembra riuscire a prescindere da un’unità etnica per portare avanti i suoi interessi ed ideali sono gli Stati Uniti, che pure vedono sempre più divisioni interne. L’imperialismo europeo di età moderna, che teneva conto solo del sangue dei nobili e non delle esigenze del popolo, ha ampiamente dimostrato come gli stati multietnici abbiano una serie problemi di rappresentanza e che un equilibrio al loro interno può essere raggiunto solo con una figura tanto preminente da poter assicurare con le sue sole forze il rispetto (o meno) dei diritti delle minoranze. Non è un caso che l’impero Austro-Ungarico si sia completamente dissolto al termine della Prima Guerra Mondiale e la Germania no. Un esempio attuale è invece la Russia che continua da decenni a perdere pezzi ed è costantemente alla ricerca di un “uomo forte”, in questo caso Putin, in grado di tenere assieme le varie etnie che la compongono sotto il giogo di quella dominante.
L’Europa stessa è un’organizzazione che non riesce del tutto ad assimilare le differenze tra i vari stati-nazione che la compongono. E parliamo di stati con un background comune, religione in primis, non da poco. Come possiamo pensare che Paesi dove la percentuale di comunità scarsamente integrate e provenienti da background totalmente diversi è sempre maggiore riescano a mantenere l’ordine sociale essenziale al vivere civile? Cercare di rimettere in sesto la curva demografica con l’immigrazione non farà che accentuare questi problemi, eppure ancora non si trovano soluzioni efficaci per il controllo dei flussi migratori. Da Lampedusa alle Rotte Balcaniche.

L’Europa sembra dunque ostaggio di una situazione velenosa che la vede moralmente obbligata a raccogliere i disperati che arrivano alle porte, ma dopo averli fatti entrare non riesce più a proporre un modello che questi abbraccino per vivere accomunati al resto della società. E non è semplice farlo. Forse è addirittura impossibile. Ma se gli Stati del Nord-Africa rifiutano di ricevere fondi per fare da hub e scremare i flussi migratori che soluzione ci resta? Non escludo che in futuro la forza sarà necessaria in un contesto in cui saranno sempre di più ad immigrare e meno le risorse da destinare a chi arriva. E’ drammatico ma questo è il futuro a cui stiamo andando incontro e con la catastrofe ambientale imminente non potrà che culminare in una tempesta perfetta. Si salvi chi può.