Sono ormai 3 mesi che la guerra tra Israele e Hamas procede pressoché senza soste e non sembra destinata a cessare a breve. L’interruzione dei negoziati da parte di Hamas per la liberazione degli ostaggi in seguito all’uccisione in Libano di un loro generale è solo l’ultimo dei rivolgimenti che continuano ad inasprire il conflitto. Ogni giorno cresce inoltre il rischio di un’escalation del conflitto, con una tensione costante che coinvolge tutto il Medioriente e l’Iran.
Ciò che emerge chiaramente dopo questi primi mesi di guerra è che nessuno potrà uscirne vincitore: per Israele è già un fallimento trovarsi in una guerra aperta, ma soprattutto aver permesso l’incursione del 7 ottobre, una ferita aperta nella memoria israeliana che non sembra destinata a rimarginarsi a breve. Inoltre lo scenario geopolitico non sembra, nonostante le pressioni dell’estrema destra locale, permettere l’annessione di nuovi territori da colonizzare. Per Hamas il quantitativo di risorse perdute e di effettivi e civili morti è già ora scarsamente sostenibile e il dato è destinato a peggiorare non poco. Se vogliamo proprio cercare di trovare un lato positivo per i due schieramenti si può dire che Israele ha dimostrato ancora una volta la sua totale superiorità in campo bellico e tecnologico (non che ce ne fosse il bisogno), mentre Hamas è riuscito nell’intento di destabilizzare le relazioni diplomatiche tra lo Stato ebraico e i suoi vicini musulmani, che da anni erano in costante miglioramento grazie anche alla mediazione degli USA. Non è un caso che tra i meno soddisfatti dell’attuale situazione spicchino proprio gli States, che si trovano a fronteggiare due guerre non particolarmente popolari, quella in Ucraina anche decisamente dispendiosa, alle soglie delle elezioni presidenziali e profondamente divisi internamente tra progressisti e conservatori. Nonostante il malumore non c’è comunque la possibilità, né la volontà di negare ad Israele la possibilità di difendersi, come affermato più volte dal Segretario di Stato Blinken, o meglio di contrattaccare, e le portaerei dislocate nel Mar Rosso e nel Mediterraneo sono un costante ricordo a tutti gli altri Stati, in particolare l’Iran, di mantenere la calma. La durezza mostrata con i ribelli Houti è stata un ulteriore monito.

Ma quando e come potrà finire e come questa guerra? Come al solito fare previsioni non è semplice, soprattutto sui tempi, ma c’è una condizione tuttora insoddisfatta che non permette alcun tipo di armistizio anche solo vagamente duraturo. Infatti senza la restituzione degli ostaggi di Hamas rimanenti o la morte degli stessi è impossibile che Israele accetti infatti di abbandonare il conflitto. Difendere la sicurezza dei suoi cittadini in un momento così cruciale è un messaggio essenziale per uno Stato circondato perlopiù da nemici e un segnale di debolezza da questo punto di vista rischierebbe di aprire la porta a nuovi conflitti ancora più devastanti in un futuro prossimo, inoltre getterebbe la pietra tombale sulla carriera di Nethanyau, già in profonda difficoltà prima dell’attentato del 7 ottobre. Sembra molto difficile però immaginare che Hamas possa decidere di liberare a breve gli ostaggi e perdere così l’unica carta rimastagli da giocarsi, inoltre va ricordato che molte delle alte sfere di Hamas al momento non si trovano a Gaza e dunque possono cinicamente chiudere un occhio sulla drammatica situazione dei civili nella Striscia, ormai effettivamente allo stremo.
La questione più sconfortante tuttavia è che, pure quando arriverà il tanto invocato armistizio, si tratterà solo dell’ennesima pausa di quella che si configura sempre più come una sorta di Guerra dei cent’anni dell’Età Contemporanea. Soluzioni concrete e definitive non solo non sono all’ordine del giorno, ma nemmeno in un lontano orizzonte e ogni giorno appare sempre più evidente come sia impossibile una convivenza tra uno Stato palestinese ed uno israeliano. Non c’è colpo di spugna sufficiente a cancellare 75 anni di feroce odio e torti reciprochi.

Esiste una soluzione alternativa? La risposta della comunità politica internazionale per ora è un secco no, ma l’ONP e Hamas sono la prova tangibile del completo fallimento per ora di qualsiasi tentativo di costruire uno Stato palestinese in grado di rapportarsi da pari ad Israele, che continua di fatto ad esercitare un potere molto forte nella zona anche al di fuori dei suoi confini. Un compromesso che potrebbe salvare la vita di migliaia di civili potrebbe essere, previa la smobilitazione di ogni colonia illegale israeliana, la cessione della Cisgiordania alla Giordania e di Gaza all’Egitto, due Paesi islamici decisamente più stabili che dovrebbero comunque essere poi aiutati economicamente dall’Occidente per integrare le due aree e ricostruirvi le infrastrutture necessarie per rendere finalmente decorosa la vita di oltre 5 milioni di persone. Una soluzione questa che non accontenterebbe appieno nessuno: gli israeliani perdono alcune colonie, OLP e Hamas perdono i loro territori, l’Egitto e la Giordania si devono fare carico di alcune delle zone più instabili del pianeta. Probabilmente, quantomeno a parere di chi scrive, però non esistono vere alternative realistiche che garantiscano una pace piena e duratura, a meno di un completo ed inaspettato ribaltamento dell’assetto geopolitico della zona.