Intervista a Francesco Castellano

La Circular Economy o Economia Circolare è un concetto di cui sempre più si sente parlare, soprattutto tra coloro che si interessano di innovazione e sostenibilità, le due colonne su cui si basa quella che potrebbe essere una vera e propria rivoluzione dei mezzi produttivi, paragonabile per portata alla rivoluzione industriale stessa.
Per discutere di questo e non solo abbiamo avuto il piacere di dialogare con Francesco Castellano, il presidente, nonché fondatore, di Tondo, una realtà nata con l’obiettivo di diffondere questo nuovo approccio all’imprenditoria: “Sfortunatamente è ormai chiaro che il tenore di vita ed il benessere raggiunto dall’Occidente non è assolutamente sostenibile, quantomeno da un punto di vista ambientale; e non può che non esserlo considerando che il nostro sistema si basa sul consumo, spesso fine a se stesso. Sono questi i pensieri, oltre ad un mai sopito desiderio di mettermi in proprio, che 3 anni e mezzo orsono mi hanno portato a fondare Tondo, l’azienda che tutt’ora dirigo. La nostra mission dagli esordi ad oggi è stata la dissemination, ovvero, per dirla in termini profani, diffondere il più possibile la consapevolezza dell’esistenza di talune problematiche, ma soprattutto di un nuovo modo di approcciarsi all’intera catena produttiva e distributiva: la Circular Economy.
Ma oggi, pur non potendo rivelare di più, posso dirvi che Tondo non si fermerà alla divulgazione, con un nuovo progetto destinato alla sfera pratica.”

Ebbene, prima di soffermarsi su Tondo in sé, sarà bene chiarire di cosa si stia parlando precisamente quando citiamo la Circular Economy: “Si tratta di ripensare l’intero sistema produttivo secondo dei nuovi canoni. Se oggi le aziende agiscono guidate dalla necessità di distribuire profitti agli azionisti, occorre sempre più che siano gravate di una nuova responsabilità, ovvero mantenere un modello socialmente e soprattutto ambientalmente sostenibile. Se infatti è scontato per chiunque apra un’azienda preparare un’analisi sulla possibilità di ottenere effettivamente un ritorno dalla stessa, è altrettanto importante che questi profitti non gravino sull’ambiente. Sarebbe ozioso ricordare quanto le conseguenze del cambiamento climatico siano destinate a portare drammatiche conseguenze, senza un’azione forte e coordinata da parte di tutti. Ancora una precisazione: spesso si tende a confondere la Circular Economy con il riciclo, ma non sono affatto la stessa cosa. Infatti un prodotto riciclato potrebbe essere meno sostenibile di uno fabbricato da zero, a causa degli elevati costi ambientali per rimetterlo a nuovo. Non è un caso che la Commissione Europea si sia mossa con grande convinzione sul refill più che sul recicle nel nuovo piano di Circular Economy elaborato di recente. Questo nuovo sistema parte infatti dalla progettazione, selezionando i materiali più adatti e sostenibili per un prodotto, tenendo conto del suo ciclo di vita sino allo smaltimento”.

Sfortunatamente non mancano le criticità nell’applicazione di questo nuovo modello, come il rischio di perdita di competitività economica, ed una difficile implementazione oltre i ricchi confini europei: “Certamente la strada da fare è molto lunga e la necessità di finalizzare contemporaneamente la transizione verso le energie rinnovabili non la rende più semplice. Al contempo però non si può nemmeno pensare di esitare troppo a lungo. Né, ancora, si può pensare di perdere di vista la sostenibilità economica, per inaugurare davvero una nuova era ed un nuovo modello produttivo. Non ci si può poi dimenticare, parlando delle difficoltà, le noie burocratiche per entrare in un meccanismo lontano dalle normali logiche aziendali (almeno per quanto concerne l’Italia), ma quello che però davvero serve al momento sono due principali elementi: capitali e cultura. Ovviamente senza un intervento che parta dai vertici dello Stato, cui spetta l’arduo compito di indirizzare questa rivoluzione, sembra davvero difficile raggiungere il livello di coscienza necessario all’interno della cittadinanza ed, allo stesso modo, è difficile pensare che uno sforzo del genere potrà essere sovvenzionato esclusivamente da privati. Certo una mentalità più imprenditoriale farebbe anche comodo, anche perché agli italiani le idee non mancano certamente.”

Assodato il concetto di Economia Circolare, Castellano torna a parlare di Tondo e del suo percorso quindi negli ultimi anni: “Come si diceva, Tondo è nata tre anni e mezzo orsono per dare un concreto contributo alla transizione, che necessariamente dovrà arrivare nel prossimo futuro, verso la Circular Economy. Inizialmente, anche per questioni di expertise e budget, ci siamo dedicati principalmente alla divulgazione, organizzando conferenze, podcast ed hackaton, una sorta di concorso a premi per iniziare i giovani al mondo dell’imprenditoria, in tutta Italia, ma negli ultimi tempi, anche grazie all’espansione del nostro team, ci è stato possibile diventare una vera e propria piattaforma, TondoLAB, con l’obiettivo di aggregare e dare tools a vari progetti che permettano agli ideatori di svilupparli al meglio. Questa piattaforma avrà necessariamente al centro la città come fulcro, essendo l’economia circolare fortemente basata sull’apporto locale, evitando gli sprechi dovuti ai trasporti. Un esempio concreto di ciò che facciamo, oltre alla dissemination, sono le analisi dell’intera filiera produttiva, alla ricerca di metodi o materiali in grado di portare un beneficio in termini di sostenibilità del prodotto, senza però ovviamente lasciare indietro la componente economica. Si punta quindi a dare al cliente una visione completa di come ogni attività all’interno della catena produttiva impatti a livello sociale ed ambientale. Questo tipo di analisi sono sempre più comuni tra le grosse aziende che, per ragioni di marchio, vogliono rendersi più sostenibili e quindi appetibili per una vasta platea di consumatori; oggi non sono ancora obbligatorie, ma vista l’urgenza di agire in questo senso non posso escludere che tra non molto potrebbero addirittura diventarlo, quantomeno per alcuni tipi di attività. Il modello della nostra piattaforma può in un certo qual modo ricordare quello di un incubatore sui generis, che aiuti il cliente ad orientarsi in questo mondo senza però inserirsi necessariamente nella realtà aziendale a livello economico. A breve sarà inoltre reso disponibile anche un indice di circolarità, basato su un notevole numero di variabili”.

Prima di concludere si parla anche di startup: “Tra i vari lavori che ho svolto prima di mettermi in proprio ho avuto anche la possibilità di lavorare 8 anni fa per Uber, che al tempo era ancora considerata una startup, e l’esperienza mi permise al tempo di confrontarmi con un metodo di lavoro molto diverso da quello delle grandi multinazionali per cui lavoravo prima, decisamente più avveniristico; ero incaricato al tempo di gestire le operazioni sulla città di Torino. Una parentesi senz’altro stimolante che ha contribuito non poco ad accrescere il mio interesse per questo mondo, tutt’ora non sopito. Ho notato negli ultimi anni una notevole progressione nel settore per quanto concerne l’Italia, con tante nuove realtà e di recente anche il primo unicorno italiano, Satispay, anche se certo la strada da percorrere per raggiungere Regno Unito, Germania e Francia è ancora lunga. Un problema non da poco per questo mondo è la scarsa tendenza tra gli uomini maturi, con una buona carriera alle spalle, a mettersi in proprio, forse per timore dei rischi d’impresa o disincentivati da burocrazia e tassazione, quando sarebbero invece i soggetti ideali per dar vita a nuove realtà grazie alla loro esperienza. In compenso il dominio dei giovani tra gli startupper italiani porta in dote tante energie ed idee all’avanguardia che in parte compensano l’inesperienza, pur essendo innegabile che le startup fondate da uomini più anziani abbiano un tasso di successo superiore. Forse sarebbe opportuno interrogarsi sull’importanza di una maggiore flessibilità e conseguente dinamicità del mercato del lavoro, penalizzata dalla grande chimera italiana del posto fisso; un circolo vizioso questo che rende difficile il reinserimento per un quarantenne che necessiti un lavoro dopo un eventuale insuccesso nel mettersi in proprio”.