Da molti anni a questa parte nel dibattito pubblico si discute, senza che si giunga a conclusioni decisive, di un aumento dello stipendio per gli insegnanti. Una scelta che sembra opportuna, vista l’importanza del loro compito.

Se nell’ultimo ventennio sono state varie le riforme scolastiche succedutesi, gli interventi sono sempre andati nella direzione del taglio piuttosto che dell’investimento. Eppure per diventare insegnanti occorre, giustamente, una laurea magistrale ed un tortuoso percorso attraverso le supplenze, ormai un problema cronico del sistema educativo pubblico; viene dunque spontaneo chiedersi come mai la retribuzione di un insegnante in Italia sia dimezzata, a parità di potere d’acquisto, rispetto alla Germania.
Questa scarsa retribuzione è dovuta, in parte, al luogo comune che gli insegnanti lavorino poco, ma i giorni di lezione in Italia sono intorno ai 200, ben 20 in più della media UE (180). Non solo, anche le ore trascorse in classe dagli studenti, e di conseguenza da coloro che dovranno istruirli, è superiore alla media europea: tra le 30 e le 36 ore, elevabili fino a 40 ore per il tempo prolungato, contro le 28/30 di Germania e Francia, gli Stati più paragonabili al nostro.
Chiara è stata la denuncia di Marcello Pacifico, presidente nazionale ANIEF:

“Quello che non si comprende è come si fa a dire che il nostro corpo insegnante percepisce stipendi da impiegato perché l’impegno quotidiano e annuale è più debole. Anche i calcoli settimanali, realizzati sempre da Eurydice, ci dicono che il tempo passato a scuola dai nostri insegnanti in aula è sostanzialmente in linea, se non più alto, soprattutto nell’istruzione secondaria, rispetto a quello di altri Paesi dell’Unione europea. Quelli che sono più bassi, purtroppo, sono invece gli stipendi, finiti addirittura sotto l’inflazione di oltre il 10%. D’altra parte, non poteva andare diversamente se solo pensiamo che il contratto è scaduto da quattro anni e l’ultima volta è stato rinnovato, nel 2018, dopo quasi dieci di fermo”.

La seguente tabella, elaborata grazie ai dati forniti dal sovracitato Rapporto di Eurydice che raffronta gli stipendi degli insegnanti tra alcuni dei Paesi più e meno ricchi d’Europa, parla chiaro. Sia la Francia che l’Italia hanno degli stipendi decisamente più bassi rispetto a quelli dei paesi nordici e germanici. Peggio di noi come spesso succede, invece, gli stati meno sviluppati dell’Europa dell’Est.

*indicatore fornito da Eurostat come unità monetaria artificiale il cui utilizzo è atto a garantire l’acquisto di beni materiali e di consumo e la fruizione di servizi per ciascun paese in base agli indicatori attinenti al costo della vita. 

Sembra dunque evidente che il corpo docente avrebbe diritto ad uno stipendio più elevato, se non per la quantità del loro lavoro, quantomeno per la delicatezza dell’incarico. Siamo sicuri di voler affidare l’educazione dei nostri figli ad insegnanti che non si sentono valorizzati e dunque spesso gravemente demotivati?

Resta, in conclusione, triste notare come il Governo abbia agito con prontezza con un investimento corposo, ben 50 miliardi, in un adeguamento delle pensioni all’inflazione, ma non si senta parlare di alcun intervento simile per i custodi dei nostri figli. Il tutto in un contesto in cui la spesa pubblica italiana dedicata alle pensioni è in percentuale già di netto la più alta d’Europa: questo, ahinoi, è davvero un Paese per vecchi.