Produrre i nostri indumenti consuma una quantità impensabile della risorsa più preziosa sul nostro pianeta.

Un paio di pantaloni in denim, scoloriti con sapienza, strappati ad arte e rattoppati con maestria, costano dai 25 ai 750 euro, secondo la graffatura il posizionamento di mercato del brand, ma soprattutto valgono 10mila litri di acqua. Non è un refuso, diecimila litri di acqua. “Che sono tanta roba”, come oggi si usa dire.
Al di la di come la si possa pensare sul tema dell’ambiente e della sostenibilità, che non è solo ambientale ma è anche economica e sociale, il dato è impressionante. Alcuni scienziati ridimensionano la stima, con calcoli di consumo inferiori di qualche migliaio (migliaio!) di litri, che diventerebbero 7000, o addirittura (addirittura!) 6500. Altri invece più saggiamente si ingegnano per rendere sostenibile una lavorazione “idrovora” che di straordinario non ha nulla dal punto di vista del consumo delle risorse, leggi la carne, o in generale tutto il food che arriva sulla nostra tavola. La cosa che colpisce però è che i jeans rotti e sbiaditi costano poco, o tantissimo se sono griffati, ma valgono uno sproposito in termini di risorse utilizzate. Il sistema della moda ha negli ultimi anni abbraccio il tema eco, proponendo capi sostenibili ad
un prezzo maggiore di quelli che sostenibili non lo sono, riscontrando il favore di un pubblico di big spender che ha premiato questi prodotti. I prodotti green non sono per tutti, quindi il problema si pone e ragionevolmente si risolve solo ripensando radicalmente il processo produttivo e i meccanismi di redistribuzione del rischio, oltre che dell’utile.
E se l’impronta idrica di un fashion poco sostenibile non è una novità, il mondo del tessile è un esempio perfetto di cosa si intende per sostenibilità e per modello sostenibile, e ancora di come l’agenda 2030 dovrebbe cambiare buona parte dei nostri paradigmi per gli anni a venire, proprio a partire dal tema del valore degli oggetti. Il mondo della moda, messo a dura prova dalla crisi dei consumi dovuti alla pandemia, ci racconta anche qualcosa di più sul COVID, che non cambierà il mondo, perchè il mondo è già cambiato e cambia al di la della pandemia.
Non sappiamo nulla del dopo Covid, ma sappiamo che le trasformazioni che vengono associate al COVID sono in realtà accelerazioni di processi che conosciamo bene già da prima.
Colpisce la velocità di questi processi, caratteristica che è questione di sostanza assoluta in questo caso. E colpisce l’impatto “culturale” della pandemia nel senso lato del termine che comprende il modo di vivere,
di lavorare e di stare assieme delle persone. E se ad un anno e più della pandemia le cose sono sostanzialmente rimaste le stesse di prima, oggi almeno si cerca di rimettere mano a modelli di sviluppo che appaiono nella sostanza inefficienti.
Si parla molto oggi di ripartenza, di Recovery Fund, e di quale potrebbe essere l’utilizzo ottimale dei soldi che L’UE mette a disposizione delnostro paese, green e sostenibilein testa. Al dibattito però manca un pezzo, determinante, che consiste nella visione e nella condivi. A rischio di andare controcorrente ricordiamo che la Ursula Von den Layen ha scritto qualche mese fa a tutti i ministri economici dei paesi del vecchio continente, ricordando loro che non bastava dare soldi per fare ripartire un sistema economico stremato, ma bisognava anche generare pensiero nuovo e consapevolezza. In pratica la UE chiede siano pensate vere e proprie campagne culturali per accompagnare gli aiuti del Recovery.
La lettera ha ottime ragioni e lucide argomentazioni: basta rileggere qualche classico della scienza politica che ricorda che il governo passa dalle risorse materiali ma anche da quelle simboliche, che sono forse anche più importanti delle risorse materiali. Sempre secondo i classici tecnico e politico sono complementari e non alternativi.
Naturalmente serve visione, altrimenti l’innovazione perde di senso e di direzione. E servono nuovi paradigmi, considerando che quelli vecchi, non ci aiutano granché per immaginare visioni e scenari di un futuro ormai imminente. Ad esempio bisogna essere consapevoli che un paio di jeans COSTA 10000 litri di acqua e magari limitare lo shopping compulsivo.

Diego Castagno