Il Festival dell’Economia Civile di Firenze lancia un progetto di “nuovo umanesimo” in versione 5.0 che mira a rimettere al centro la persona e il territorio.

Per contrastare la povertà serve ridurre le disuguaglianze. Non basta crescere, bisogna pensare a paradigmi diversi, che sostituiscano il segno più al segno per. Una società fortemente disuguale segna una crescita se sommo i valori individuali, ma se li moltiplico probabilmente no. La moltiplicazione non perdona: se i molti hanno sempre di meno e i pochi sempre di più il prodotto non è per forza maggiore del fattore. Non c’è sfida più impegnativa per un economista di questa, lo aveva capito David Ricardo e soprattutto lo aveva capito la scuola degli illuministi napoletani 250 anni fa. Al di là delle opinioni personali e dei preconcetti, il tema è che la disuguaglianza oggi cresce di più del PIL, quindi o non funziona il modello o non funziona l’indicatore. Oppure non funzionano le politiche redistributive. Insomma, il problema oggi è sul tavolo in tutte le sue molteplici varianti, da quella sociale a quella ambientale, e va risolto su un livello ecosistemico, tenendo assieme i pezzi.

Nella sala dei 500 di Palazzo Vecchio a Firenze gli organizzatori del festival dell’economia civile, arrivato alla sua quarta edizione, lanciano un nuovo progetto di economia al servizio della comunità, aggiornano la “Carta di Firenze” del 2020 con nuovi obiettivi e avviano un percorso che ha l’ambizione di mettere assieme le energie positive del paese: un progetto di “nuovo umanesimo” in versione 5.0, in grado di superare le versioni precedenti rimettendo al centro la persona e il territorio.

Il festival si apre venerdì con una “lectio” di Niccolò Bellanca, professore di Economia del’Università di Firenze dedicata a Giacomo Becattini, studioso di distretti industriali e di territorio, convinto che l’economica sia determinata anche da fatti “non “economici, come la cultura, l’identità e il senso di appartenenza alla comunità. I territori sono il luogo da parte tutto ed in cui tutto torna, animati da uno spirito ribelle che di fatto oggi agisce da incubatore, citando Luciano Floridi, di start up di energie positive, ingrediente essenziale per rianimare la partecipazione alla cosa pubblica e la cura verso i beni comuni.

Si parla di giovani, di futuro e di ambiente, e soprattutto di lavoro e giustizia sociale, tema rimosso per lungo tempo e riportato nel dibattito pubblico dallo shock della pandemia, la prima nella storia che non ha livellato le distanze tra i ricchi e i poveri. Le povertà derivano dalla disuguaglianza, e rischiano di spaccare e rompere la società per come la conosciamo. Stefano Scarpetta, direttore per il lavoro, l’educazione e gli affari sociali dell’OCSE traccia una prospettiva sul mondo del lavoro nel pieno del processo di sostituzione delle persone con le macchine e traccia un bilancio sull’impatto delle transizioni. L’Italia come è noto non cresce da trent’anni e gli stipendi mediani, unico caso in Europa, sono scesi del 2,8% dal 1990 ad oggi. Il tema delle disuguaglianze è centrale ed è sempre più complesso, le politiche redistributive vanno fatte ma non bastano.

A Firenze, ad una settimana dal voto delle politiche, si ragiona di come rendere sostenibile la sostenibilità dell’Agenda 2030, valorizzando quello che già oggi emerge dai territori e dalle comunità, che si prendono la loro rivincita sul globale e lasciano aperte le questioni della rappresentanza e della partecipazione. Il Cardinal Zuppi dal palco si rivolge alla politica e senza troppi convenevoli consiglia “una full immersion in questo Festival per acquisire delle nuove consapevolezze, capire che ci sono dei problemi e che le risposte sono possibili. Dato che la politica deve fare questo, ovvero trovare soluzioni, un luogo senza interessi secondari come questo farebbe bene alla politica”. In sintesi, bisogna dare senso al cambiamento, creando le condizioni per generare sviluppo e coesione sociale. Per farlo bisogna ripartire da dove le cose accadono, valorizzando quello che c’è. Il pomeriggio del sabato è dedicato proprio a chi prova a fare impresa sociale e a generare futuro, e la chiusura della Domenica alle cose concrete da fare. Prima fra tutte la diffusione dei contenuti e la definizione di eventi lungo tutto l’anno per mettere insieme nuove energie e nuovi attori del cambiamento necessario.

Una sintesi perfetta la dà Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative, una delle associazioni più coinvolte nell’organizzazione del festival. “Finanza e speculazione non possono rappresentare la rotta dello sviluppo. Lo sviluppo è tale se è inclusivo e condiviso. Non lo è se amplia le disuguaglianze, se spacca i territori, imprese e persone in chi ce la fa e si arricchisce e chi invece diventa sempre più debole e povero”

Serve quindi un ‘economia dal volto umano dove il progresso e le opportunità siano al servizio delle persone e non viceversa.