Sfiora il 10% della popolazione il numero di italiani in stato di povertà, un trend in costante crescita e che sta soprattutto acquisendo dei caratteri di ereditarietà sempre più inquietanti: l’ascensore sociale sembra essersi rotto.

Dal 21° rapporto sulla povertà italiana della Caritas emergono dati allarmanti. Il 9,4% degli italiani vive al di sotto della soglia della povertà, con una crescita particolare per i nuclei familiari di 4 o più persone, tra le categorie che lo stato dovrebbe tutelare maggiormente vista l’allarmante situazione demografica del paese. Del 7,7% è aumentato nell’ultimo anno il numero di persone che chiedono aiuto a questa importante associazione benefica, con molti in situazioni traballanti da “dentro fuori”, che sottolineano l’instabilità e la volatilità della situazione economica dei ceti meno abbienti. Ancora un’altra percentuale: il 23,6% ha un impiego, fattore che dovrebbe far riflettere sulla scarsità delle retribuzioni, in particolare tra gli stranieri tra i quali questa condizione tocca percentuali massime.

Il segnale ancora più allarmante, da un punto di vista liberal-progressista, è la presenza sempre più massiccia di giovani colpiti dalla cosiddetta “povertà ereditaria”, un dato infatti dimostra che ci vogliano ben 5 generazioni per passare da un reddito basso ad uno medio; non solo, la “povertà educativa” porta un altro dato grave su cui riflettere, ovvero che solo l’8% dei figli di coloro che sono in possesso di un titolo di studio di basso livello riesce a conseguire un diploma universitario.
Non proprio il Paese delle opportunità insomma.

Scendendo nel dettaglio delle condizioni di coloro che si rivolgono alla Caritas risulta che il 70% dei padri degli utenti assistiti dalla Caritas risulta occupato in professioni a bassa specializzazione. Per le madri è invece elevatissima l’incidenza delle casalinghe (il 63,8%), mentre tra le occupate prevalgono le basse qualifiche. Circa un figlio su cinque ha mantenuto la stessa posizione occupazionale dei padri e il 42,8% ha invece sperimentato una mobilità discendente (soprattutto tra coloro che hanno un basso titolo di studio).
Poco più di un terzo (36,8%) ha, invece, vissuto una mobilità ascendente in termini di qualifica professionale, anche se poi quel livello di qualifica non ha trovato sempre una corrispondenza in termini di impiego o un adeguato inquadramento contrattuale e retributivo.

In calce al rapporto si parla anche di misure e soluzioni per contrastare questa piaga sociale dilagante, partendo proprio dal reddito di cittadinanza, da molti criticato e nel mirino di riduzioni da parte del governo, infatti è possibile leggere:

“Il reddito di cittadinanza è stato finora percepito da 4,7 milioni di persone, ma raggiunge poco meno della metà dei poveri assoluti (44%). Sarebbe quindi opportuno assicurarsi che fossero raggiunti tutti coloro che versano nelle condizioni peggiori, partendo dai poveri assoluti”.

Non può tuttavia bastare: senza interventi strutturali di sulla riqualificazione di soggetti deboli o a rischio difficilmente si potrà uscire da questa situazione di crisi e riuscire ad immettere sul mercato del lavoro questi cittadini, con una vera e propria opera di inclusione sociale per la quale i soldi del PNRR, se opportunamente investiti, potrebbero rappresentare una manna dal cielo.
Saranno ben 3 milioni le persone da riqualificare entro il 2025 secondo i calcoli di questo rapporto, in maggioranza disoccupati di lunga durata, under 30 e per il 75% donne.
La strada per il raggiungimento delle pari opportunità, ahinoi, non è mai parsa così lunga e tortuosa.