“Gli italiani non fanno più figli”. Una frase tanto banale quanto vera e preoccupante, visti i deleteri effetti sul welfare e le proiezioni future. Ma quali le possibili soluzioni?

Per la prima volta nel 2021 sono stati meno di 400mila i nuovi nati in Italia (399mila); il saldo naturale è negativo con ben -214mila abitanti. Nel 2020 la pandemia aveva portato il saldo a -355mila, il più alto dal 1918, anno scosso dall’influenza spagnola e dai postumi della Grande Guerra.
Le proiezioni tuttavia sono ancora più preoccupanti. Il saldo, tolti gli sbalzi dovuti a fattori imprevedibili e calamità, è destinato a peggiorare sempre più e non potrà certo bastare l’immigrazione per tenere in piedi la Nazione.

Già oggi la spesa del welfare pensionistico italiano è la voce più imponente in percentuale sulla spesa pubblica, record europeo, e sembra che saranno sempre meno a dover pagare un conto sempre più salato. Allora occorre chiedersi come mai delle politiche efficaci sulla natalità non solo non siano in vigore, ma anzi si stenti a sentirne parlare nel dibattito pubblico. La rassegnazione ad un trend che accomuna l’Occidente, ma in cui siamo comunque i peggiori, ha una parte delle colpe, ma non può assolverci.
Spesso si vocifera in alcuni ambienti di come l’immigrazione, meglio regolamentata, potrebbe tamponare questa falla, ma è davvero così? In un certo qual modo è innegabile che importare abitanti possa essere una soluzione quantomeno nel breve termine, purché coloro che entrano possano in breve tempo contribuire alla società e creare come gli altri cittadini un valore per lo Stato. Ma, se si considera la questione da un punto di vista più ampio, appaiono evidenti i problemi di questo tipo di politica. Innanzitutto, a fronte dell’annoso problema della fuga di cervelli, difficilmente gli immigrati provenienti dal Nord-Africa (la maggior parte di coloro che arrivano in Italia) sono sufficientemente istruiti, ovviamente non per loro demeriti, e dunque diventa complesso inserirli in un contesto che richiede in quasi tutte le mansioni, anche quelle più tecniche e lontane dal lavoro intellettuale, delle competenze specifiche. Il fallimento sul piano dell’integrazione degli ultimi decenni pare poi evidente: il paragone con la Germania è impietoso, lo spettro di una Francia che ghettizza e trascura cittadini francesi di origine africana con gravi conseguenze sulla stabilità sociale del Paese è incombente. Non solo, lo ius sanguinis non facilita certo l’assimilazione o anche solo l’integrazione di soggetti che vedranno riconoscersi la cittadinanza con grande difficoltà. A ciò va infine aggiunto un problema ormai talmente profondo in Italia da essere talvolta dimenticato, ovvero la criminalità organizzata, che sguazza nella debolezza dello Stato e nella sua incapacità di gestire i flussi migratori, imponendosi come leader nel traffico di esseri umani, creando così risorse che non solo non porteranno giovamento allo stato, ma finiranno per arrecarvi danno. Il tutto senza che per loro sia anche solo vagamente visibile un’alternativa ed una vita dignitosa.

Serve un cambio di marcia sulla questione. Nuovi investimenti sul welfare per le famiglie dovrebbero essere tra le assolute priorità del Paese (insieme all’annosa questione energetica), con l’obiettivo di riportare nei giovani la serenità sufficiente, nonché la materiale possibilità, di mettere su una famiglia. Dal miglioramento dei congedi parentali, alla fondazione di nuovi asili nido, quasi assenti a livello pubblico, ma anche con drastiche riduzioni di tasse dopo la nascita del terzo figlio, come ad esempio avviene in Francia.
Ci si aspetta molto da questo governo dopo i proclami della campagna elettorale, vedremo se effettivamente almeno una parte delle promesse saranno rispettate.