La difficile ereditarietà della povertà in Italia è un tema centrale nel Rapporto sulla povertà 2022 pubblicato dai ricercatori di Caritas Italiana. Questo rapporto, intitolato “L’anello debole”, mette in evidenza come la povertà sia trasmessa di generazione in generazione, configurandosi come un ostacolo pressante per l’ascensione sociale.

In sintesi, il documento sottolinea che le opportunità di migliorare la propria posizione sociale ed economica sono precluse per coloro che provengono da famiglie svantaggiate, mentre sono più accessibili per chi proviene da famiglie di classe media e alta. Il cosiddetto “pavimento” familiare rappresenta un ostacolo notevole per l’ascesa sociale, rendendo arduo il superamento della condizione di povertà.

Un elemento cruciale che collega la povertà all’origine familiare è l’istruzione. L’Italia presenta un alto tasso di povertà educativa, con un tasso di abbandono scolastico che raggiunge il 13% in media, superando la media europea inferiore al 10%. Si evidenzia che i soggetti in situazioni di indigenza provengono principalmente da famiglie con bassi livelli di istruzione, talvolta analfabete o con qualifiche scolastiche minime. I figli di genitori meno istruiti tendono a interrompere gli studi precocemente, spesso fermandosi al livello scolastico più basso. Al contrario, più della metà dei figli di genitori laureati riesce a conseguire almeno il diploma di scuola superiore.

Anche dal punto di vista lavorativo, si riscontra un legame tra la situazione occupazionale e l’istruzione. Più del 70% dei padri delle persone che si rivolgono a Caritas svolge lavori poco specializzati, in linea con un basso livello di istruzione. Le madri, nella maggior parte dei casi, sono casalinghe o svolgono lavori con scarse qualifiche.

Un confronto intergenerazionale rivela che circa un figlio su cinque mantiene la stessa posizione lavorativa del padre, e in molti casi (42,8%) si osserva una deriva discendente. Solo il 36,8% è riuscito a migliorare la propria posizione lavorativa, ma spesso non è garantito un adeguato inquadramento contrattuale ed economico.

Oltre alla povertà economica e lavorativa, emerge anche una povertà psicologica che si traduce in bassa autostima, frustrazione, mancanza di speranza e progettualità, nonché una scarsa fiducia nelle istituzioni. Questi sentimenti derivano da un ambiente familiare che è intriso di povertà culturale e di scarsa conoscenza, inclusa la consapevolezza dei propri diritti e dell’accesso ai servizi. Questi atteggiamenti, generati dalla povertà, contribuiscono ad ostacolare la mobilità sociale.

Il rapporto evidenzia che, nel panorama della povertà in Italia, il 59% dei casi di povertà è di natura intergenerazionale. Questa situazione è particolarmente accentuata nelle Isole e nel Centro, con dati che raggiungono rispettivamente il 65,9% e il 64,4%. Nel complesso, il rapporto riflette quanto evidenziato da uno studio recente dell’OCSE, indicando che coloro che provengono da famiglie povere richiedono più tempo per migliorare la loro situazione. In Italia, servono in media 5 generazioni per uscire dalla povertà, un dato superiore rispetto a molti altri paesi europei.

Le testimonianze raccolte nel rapporto confermano la percezione di una povertà multigenerazionale che investe sia la sfera sociale che quella soggettiva. La cultura assistenzialista limita l’autonomia e la responsabilità individuale, creando una sensazione di gabbia dalla quale è difficile liberarsi senza adeguato supporto. L’ascolto, l’accompagnamento e la fiducia emergono come tre direttive fondamentali per spezzare il ciclo della povertà intergenerazionale.